Il procedimento si basa sulla tecnica dell’acquatinta; l’immagine da riprodurre deriva, invece, da un originale fotografico. Come per la calcografia si parte da una lastra di rame cosparsa di finissima polvere di asfalto che, scaldata, si fonde e aderisce alla lastra; questo strato sarà quello che, al momento della corrosione, fornirà la “granitura” che catturerà l’inchiostro. Sulla lastra asfaltata veniva poi fatta aderire una stampa al pigmento di una immagine negativa ottenuta da un positivo trasparente. La caratteristica delle stampe al pigmento è che hanno lo strato di gelatina più spesso nelle zone che hanno ricevuto una esposizione maggiore e più sottile nelle altre: ecco la necessità di una immagine a toni invertiti. A questo punto, trasferito lo strato di gelatina con l’immagine, si operava l’incisione utilizzando soluzioni di cloruro ferrico di diversa concentrazione per poter modulare con precisione l’entità della corrosione. La penetrazione delle soluzioni è ovviamente maggiore nelle zone dove lo strato di gelatina è più sottile, corrispondenti alle ombre dell’immagine finale. Terminato il processo di incisione, la lastra veniva pulita dallo strato di gelatina pigmentata e da quello di asfalto ed era così pronta per essere inchiostrata e stampata al torchio. La quantità di inchiostro catturato dalla granitura della lastra sarà così maggiore nelle aree più corrose corrispondenti alle zone scure dell’immagine. Una variante, introdotta nel 1890 e chiamata rotocalcografia, utilizza un cilindro di rame rotante inchiostrato meccanicamente e presenta, invece della caratteristica granitura, un pattern a griglia simile a quello creato da un retino per stampa a mezzitoni

Le fotografie con tecnica fotoincisione