dagherrotipo
Il 19 agosto del 1839 segna la data di nascita della fotografia. Ovvero la data in cui Louis Jacques Mandé Daguerre presenta ufficialmente a Parigi la sua invenzione. Il dagherrotipo consisteva di una lastra di rame argentata levigata a specchio e perfettamente pulita, affumicata con vapori di iodio. La lucidatura avveniva utilizzando tamponi ricoperti di cotone o pelle di camoscio, con i quali venivano passate polveri abrasive. La sensibilizzazione avveniva sistemando la lastra all’interno di una cassetta contenente cristalli di iodio. I vapori di iodio reagendo con l’argento formavano ioduro d’argento rendendo la lastra sensibile alla luce.
Dopo l’esposizione alla luce, che variava a seconda della luminosità dell’obiettivo e della quantità di luce che illuminava il soggetto, la lastra veniva collocata in un contenitore provvisto di mercurio caldo. I vapori emessi si depositavano sulla superficie della lastra in corrispondenza delle zone esposte alla luce e in maniera proporzionale alla quantità di luce ricevuta, formando un amalgama biancastra. L’alogenuro d’argento non esposto veniva rimosso con una soluzione di tiosolfato di sodio. La lastra veniva lavata con acqua distillata e posta ad asciugare. Risultava una lastra d’argento a specchio in cui le zone luminose erano descritte dalle particelle di mercurio, mentre, le zone scure, non erano definite lasciando i neri caratterizzarsi nella riflessione. Si otteneva quindi un’immagine positiva o negativa a seconda che nello specchio si riflettesse una tonalità più chiara o più scura dell’amalgama di mercurio.
La caratteristica composizione chimica del dagherrotipo lo rende un supporto estremamente instabile. Questa sua peculiarità ha fatto sì che il dagherrotipo fosse sempre ricoperto da una lastrina di vetro. Il tutto veniva sigillato e montato in due distinte tipologie: il montaggio a pass-partout francese e quello americano ad astuccio. Prima del montaggio finale erano spesso effettuate delle operazioni di finitura come il viraggio all’oro per stabilizzare l’immagine o per fargli assumere tonalità calde e la coloritura del soggetto con acquarelli o pigmenti vegetali. La ripresa dagherrotipica ebbe subito un gran successo e popolarità, risultava subito chiaro però che il suo limite consisteva nel suo essere un unicum non riproducibile.