calotipo
William Henry Fox Talbot brevettò la calotipia l’8 febbraio 1841. Il calotipo rispondeva più efficacemente alle richieste del momento, in quanto racchiudeva le caratteristiche dell’immagine “disegnata dalla luce”, con la richiesta della riproducibilità della stampa. Talbot aveva capito che poteva ottenere da un’immagine negativa un positivo ponendo il negativo a contatto di un foglio di carta sensibilizzato, esponendolo alla luce e ottenendo una nuova immagine “diritta”. In questo modo potevano ottenersi un numero illimitato di copie.
Talbot cominciò già nel 1833 i primi esperimenti utilizzando dei fogli di carta cosparsi di nitrato d’argento avendo posto degli oggetti sulla carta in modo da ricavare delle impronte sui fogli stessi: i cosiddetti disegni fotogenici.
Il passaggio fondamentale per la nascita del calotipo avvenne quando Talbot dedusse che un foglio di carta sensibilizzata con acido gallico e nitrato d’argento si esponeva, se umido, anche in una camera oscura. Era arrivato a brevettare il calotipo, ovvero, un foglio di carta spennellato con nitrato d’argento e lasciato asciugare, poi immerso in una soluzione di ioduro di potassio, sciacquato e lasciato nuovamente asciugare; il foglio così preparato veniva conservato al buio. Per usarlo veniva sensibilizzato con una soluzione di nitrato d’argento, acido acetico e acido gallico che faceva assorbire dalla carta per trenta secondi, quindi immergeva la carta in acqua, l’asciugava e la caricava nella camera oscura.
Una volta esposta, l’immagine veniva sviluppata con la medesima soluzione e poi fissata con ioduro di sodio o bromuro di potassio. Solo in un secondo brevetto, datato 1843, si parla di tiosolfato di sodio che fu proposto dal suo scopritore John Frederick William Herschel in quanto capace di rendere solubili gli alogenuri d’argento. Il tiosolfato di sodio reagisce con i sali d’argento non trasformati dall’azione della luce in argento metallico, rompendo il legame ionico interno all’alogenuro e facilitando così l’eliminazione degli ioni argento e di quelli cloro e iodio attraverso il lavaggio. Ovviamente l’importanza dello sviluppo stava nella possibilità di ridurre i tempi di esposizione dell’immagine in maniera notevole. Di contro il calotipo presentava alcuni limiti importanti: a carta di bassa grammatura diventava un supporto molto fragile da manovrare e la qualità dell’immagine ottenuta, con il nitrato d’argento assorbito in profondità nelle fibre, non era ben definita. Fu solo intorno al 1850 che Gustave Le Gray introdusse la pratica di cerare i calotipi per migliorane la trasparenza e quindi la nitidezza della stampa.