Filosofa di formazione, Silvia Camporesi è una fotografa curiosa e sensibile per ciò che è insolito, sfuggente, sconosciuto e da rivelare. Nei suoi progetti nulla è casuale, semmai tutto è causale, conseguenza di altro e parte di un percorso più ampio e creativo.

“Tutto il mio lavoro che sia di paesaggio, di racconto o di storie, nasce dall’esigenza di svelare, di portare alla luce letteralmente o metaforicamente un soggetto o un pensiero. L’artista guarda tutto con un’attenzione diversa perché sa che qualsiasi cosa può essere trasformata. […] Gli studi in filosofia mi hanno aiutato a capire che la fotografia poteva essere non solo la documentazione della realtà ma l’interpretazione di un’idea, il mettere a fuoco un pensiero e cercare di trasformarlo in un’immagine, una sequenza, un racconto” (“Video Ritratti d’Autore. Un incontro con Silvia Camporesi”, di Giulia Vannucci, su www.artribune.it, aprile 2021).

Quando inizia a fotografare attorno al 2000, Silvia Camporesi adotta lo stile della staged photography per mettere in scena storie, enigmi o pensieri tratti da un immaginario collettivo, sempre però rivisitato  in chiave personale e interrogativa. I primi lavori sono dedicati a temi tratti dal mito, dalla letteratura, dalle religioni e dalla quotidianità.

A partire dal 2011 si fa più serrata la ricerca sul paesaggio, sempre però con uno sguardo filtrato dall’immaginazione e dalla creatività; l’Italia diventa il leitmotiv di ogni progetto e la percorre in lungo e in largo con un approccio riflessivo, artistico e antropologico (M. Paderni, La storia che non si smarrisce, Atlas Italie, Danilo Montanari ed., 2016). Reinventa Venezia, porta alla luce angoli dimenticati e “forza” la natura per far emergere luoghi nascosti, fragili e bizzarri, ricorrendo spesso a costruzioni in miniatura per fotografare paesi inaccessibili o città immaginarie come fossero reali.

www.silviacamporesi.it